«Perchè esisto?» si chiese tra lo sconsolato e l’impaziente fermando un attimo, un solo attimo, il suo incessante misurare gli spazi cite percorreva.
«Perché vivo?» si domandò ancora senza trovare risposta ma riprendendo questa volta le precise misurazioni interrotte per riflettere meglio.
«Ma se non fossi io, con miei occhi, la bocca, le mie dodici paia di arti.., sarei forse ugualmente nato sotto forma di qualcos’altro mantenendo questa stessa identità mentale?».
Tali erano i pensieri di Punzicher, bruco geometra di lontane ascendenze svizzere, quando lo incontrammo in un giorno di sole, vagabondo lui quanto noi, in terra carnica. E si divenne subito amici, senza problemi legati al differente phylum o ad altre piccole diversità fisiche.
A dire il vero – lo confidò solo motto tempo dopo – coi nostri quattro arti gli sembravamo all’inizio dei poveri mutilati ma fu esemplare nel non ostentare mai nei nostri confronti la minima superiorità cite gli sarebbe potuta
derivare. E fu anche questa manifesta disponibilità verso di noi che spinse, tutti indistintamente, ad affezionarsi a lui: il Bruco Funzicher!
Ci sedemmo tutti insieme in cerchio, lui tra di noi, li dove la macchia di bassi arbusti dava spazio ad un rigoglioso prato.
«Vedete – ci disse, con la voce calma di chi sa d’essere ascoltato – voi siete qui a sentire i miei pensieri ed io a ricevere i vostri e non trovo nulla di strano in tutto questo, pur se io sono un piccolo bruco e voi no».
A questo punto noi tutti annuimmo e per la prima volta da quando ci eravamo resi conto della presenza del Bruco Funzicher dovemmo convenire che, a dispetto di tutte le leggi di natura (perlomeno quelle finora noie), Funzicher era un bruco geometra vero e proprio ma con una forma mentale strettamente simile alla nostra.
Lo strano fu che questa particolarità di per sé abbastanza sconcertante ci apparì per tutta la durata dell’incontro perfettamente logica.
«Del resto anche con gli altri esseri viventi – continuò il discorso interrotto per darci modo di considerare meglio la situazione – ci si scambia di frequente riflessioni e giudizi. Riflessioni. questo il nostro male: pensiamo troppo».
E dicendo ”nostro” fu subito chiaro senza necessità di spiegazioni che parlava non solo di bruchi ma anche di cavalli, opilionidi e ragni, salamandre, gatti e uccelli, serpenti, formiche, rane e trote, libellule, molluschi ed esseri d’ogni genere.
«Pensiamo cosi tanto e tanto intensamente che alla fine perdiamo persino la facoltà di comunicare, di esprimere quanto elaboriamo dentro di noi. Diventiamo dei bachi neri in costante produzione di pensieri che ci scivolano all’interno incalzati da altri che a ritmo continuo si generano e prima d’essere completamente formati già sono spinti da altri ancora che chiedono spazio. Come conseguenza visibile di tutto questo riusciamo ad articolare solo strani suoni apparentemente privi di significato ma che condensano in un brevissimo intervallo una infinità di concetti sovrapposti ed ormai irreversibilmente inseparabili».
Mi domandai per un attimo se anche l’amico Funzicher fosse destinato col tempo a diventare quella specie di baco, anzi di bruco, sera descritto. Rabbrividii impercettibilinente al ricordo delle migliaia di guaiti di cani e miagolii insistenti di gatti uditi in vita aria. Rabbrividii al pensiero del loro significato al pensiero di come fino a quell’istante avevamo sottovalutato simili espressioni. Al pensiero.
Mi sentii a disagio ripensando ai rnrtggiii che ogni estate sulle montagne, durante il lavoro, mi capitava di ascoltare distrattamenle. Muggiti isolati tentativi d’espressione falliti per troppa intensità di pensiero.
Che strano, ricordo sette anni fa una mucca in Carnia, al laghetto Dimon, sfracellata alla base di una rupe, di fronte al lago. «Si è buttata! – mi dissero i pastori – È caduta, sì, ma non scivolata, l’abbiamo vista bene. Si è come lanciata, con un muggito lungo e costante, quasi un grido». E la cosa finì li.
Adesso capivo dopo le parole del Bruco Funzicher. Rivedevo la mucca del laghetto Dlmon gridare la sua impossibilità irreversibile a comunicare, allo scambio di idee; e nell’ultimo muggito, quel grido udito dai pastori, si mescolava l’odio per la sua situazione di isolamento definitivo, la decisione di farla finita con tutto e chissà quali altre centinaia di ulteriori idee e di pensieri, non esclusa la voglia di ritornare indietro, di rilanciarsi ancora, di ripensarci di nuovo, di buttarsi con maggiore intensità, di far ritorno alla malga, dl prendere rincorse ancor più tragiche, di aggrappatsi alle rocce, di spingersi con ancor più violenza nella caduta verso il basso.
E pensa ai lemming, roditori nordici che a migliaia scelgono il suicidio affogandosi in mare, e a quelle balene che si spingono a forza verso riva rifiutando la vita, e indietro nel tempo, ai dinosauri di 65 milioni di anni fa, fermati per sempre da una catastrofica causa ancora sconosciuta.
Tante cose dopo quell’inaspettato incontro mi diventarono più chiare. Col Bruco Funzicher è tanto ormai che non ci vediamo; gli impegni della vita sono sempre più numerosi ed incalzanti e mi portano su sentieri che lui di rado percorre. Ma ci scriviamo spesso. Solo mi preoccupano un poco le sue ultime lettere, sempre più fitte e con sempre meno virgole e punti…