Un sottilissimo foglio di carta stava appoggiato, piatto, sulla piatta superficie di un’ampia scrivania. Era immobile, capace solo di comunicare, di apprendere, ma non di vedere. Alla scrivania che lo sorreggeva chiese notizie sul mondo. E quella iniziò a parlare. Cominciò col narrare di sé, delle proprie quattro solide gambe di mogano, del suo capiente e profondo cassetto. Si dilungò nel descriverne il multiforme e ricco contenuto, dalle gomme più varie, ai calamai di vetro cilindrico modellato in forme sinuose, ai tamponi di carta assorbente dal manico in legno lavorato.
Poi, mentre ancora stava raccontando, si accorse che il foglio non capiva. Era in grado soltanto di comprendere l’essenza di quella grande superficie piatta e scura di legno antico sulla quale stava appoggiato. Il resto gli era perfettamente incomprensibile, per quanto inizialmente si fosse sforzato di ascoltare con attenzione quanto la scrivania gli andava descrivendo. Non erano solo informazioni difficili da comprendere, erano proprio concetti impossibili da recepire. Impossibili perché l’esistenza del foglio era basata su due dimensioni soltanto e quelle per lui erano le uniche grandezze dell’intero mondo reale.
Non poteva nemmeno lontanamente comprendere il significato di “profondità”, o quello di “aggiungere una terza dimensione”. Il suo mondo tangibile, pratico e – in una sola parola – reale, era quello misurabile con le sole lunghezza e larghezza. Non è che rifiutasse la
profondità, semplicemente la sua essenza bidimensionale non poteva comprenderne, nemmeno lontanamente, il significato. Per la scrivania, invece, misurare tutto anche attraverso l’uso della profondità era qualcosa di perfettamente logico e scontato.
Si fece avanti a quel punto un monaco scrivano. Era rimasto in disparte ad ascoltare i pensieri intercorsi tra il foglio e la scrivania. Si assettò la tonaca sedendosi al tavolo di lavoro e aprendone il cassetto. Ne trasse una penna d’oca che intinse nel calamaio. Cominciò in silenzio a scrivere sul foglio un sintetico trattatello sulle tre dimensioni, sulla geometria solida e sull’effetto prospettico, con la certezza che a quel foglio la realtà delle cose, raccontata in modo dettagliato e preciso, di lì a poco sarebbe divenuta chiarissima.
Il foglio riceveva tutto quanto, ma senza riuscire a capirci nulla. Quando infine fu colmo di tracce d’inchiostro, il pezzo di carta si stufò e con veemenza proclamò l’insensatezza di quelle righe bluastre prive di significato vergate dal monaco con chiara e precisa calligrafia.
Lo fece con forza e disprezzo verso il monaco scrivano e il suo vano, inutile tentativo, proclamando la verità unica e certa del proprio mondo bidimensionale. Il monaco, alla fine spazientito, ripose lentamente la penna nel cassetto, prese il foglio a due mani, lo accartocciò ne facendone una pallottola inviandola, con lancio sicuro e preciso, verso il focolare che ardeva in fondo alla sala. Mentre la carta appallottolata correva incontro al proprio destino, il monaco scrivano si strinse nella tonaca e si alzò, allontanandosi in direzione opposta. Varcò la porta della grande stanza richiudendola con decisione dietro di sé.
Se avesse potuto, per un solo istante, cogliere i pensieri di quel foglio appallottolato che percorreva ormai la parte discendente della parabola verso il fuoco, sempre più illuminato dalle fiamme del focolare verso il quale suo malgrado correva, sarebbe tornato indietro di corsa, emozionato e commosso. “Ho capito, ho compreso! Ora tutto mi è chiarissimo!” stava gridando con tutta la forza del proprio pensiero quel foglio illuminato. Anzi, non era più il foglio a gridare la propria conoscenza, ma quella tonda – improvvisamente tridimensionale – pallottola di carta nella quale il monaco l’aveva forgiato un attimo prima di lanciarlo verso la sua fine.